domenica 25 settembre 2016

Antonella Cecchi Pandolfini, Undici haiku


I

Il vento soffia
pensieri e lacrime
lungo la riva

Kaze ga fuku
omoi to namida
kishibe de

II
Pioggia che scende
sul mio corpo inquieto
inosservato

Ame ga furi
watashi no ochitsuki no nai karada ni
kizukarenai

III
Solennemente
la pioggia mi risvegliò
pietre bagnate

Ogosoka ni
ame ga mezameta
nureta ishi

IV

I gelsomini
nelle tue mani tese
appassionate

Jasumin
anata no hirogeta te no naka
jounetsu-tekina

lunedì 25 aprile 2016

L'antico volto di Cristo a Roma/2



18

Nelle numerose rappresentazioni del Cristo, spicca, benché rara, quella che Lo vede nelle vesti di Maestro.
EccoLo, con un rotolo della legge spiegato fra le mani, nell’episodio della Samaritana presso S. Callisto:

18. Catacombe di Callisto Incontro con la Samaritana

Qui in un vetro dorato del IV secolo:

19

19. Vetro dorato Resurrezione di Lazzaro IV secolo

o, addirittura, in un  mosaico datato fra III e IV secolo, quale Apollo Helios:

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20. Mausoleo dei Giulii Cristo Helios

L'antico volto di Cristo a Roma/1

Catacombe dei SS. Marcellino e Pietro
Qui la seconda parte

Non esiste alcuna descrizione del Cristo nei Vangeli e negli Atti degli Apostoli.
L’idea che si aveva del Suo aspetto fisico fu, perciò, dedotta in vario modo.
Alcuni Padri della Chiesa (Clemente Alessandrino e Tertulliano) erano convinti che il Cristo fosse brutto e d’apparenza meschina. Essi trassero la loro convinzione dall’esegesi letterale d’un passo del profeta Isaia (53, 2):
“E noi lo vedemmo ed Egli non aveva né faccia né forma né bellezza”.
In tal modo essi ponevano in assoluto risalto la purissima spiritualità di Gesù: la perfezione dell’anima, insomma, avrebbe operato a detrimento della bellezza esteriore.
Solo negli scritti più tardi (come nell’apocrifo Atti di Andrea e Mattia) apparirà un Cristo di piacevole o bell’aspetto.
La fede popolare, tuttavia, era estranea alle elaborazioni filosofiche o letterarie.
Le fonti dei primi cristiani occidentali, e romani in particolare, erano i Vangeli.
E nei Vangeli, come detto, mancavano descrizioni fisiche dirette; le raffigurazioni pittoriche o musive, quindi, furono simboliche; e, stilisticamente, come vedremo, attingevano alla tradizione classica e pagana.
I primi artisti cristiani (III-IV secolo d. C.) dipinsero così un Cristo imberbe, giovane, umanissimo, spesso fermato nelle vesti del Buon Pastore. La figura del Buon Pastore si ritrova nel celebre passo del Vangelo di Giovanni (10, 11-16), evocata per bocca dello stesso Gesù:

"Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore".

 1

 2

 3

 4

5

1. Catacombe di Callisto Il Buon Pastore
2. Catacombe di Domitilla Il Buon Pastore
3. Catacombe di Pretestato Il Buon Pastore
4. Catacombe di Priscilla Il Buon Pastore
5. Catacombe dei Giordani Resurrezione di Lazzaro/Il Buon Pastore

sabato 23 gennaio 2016

Il rosso abbagliante della Casa di Augusto


Scrive la studiosa Irene Iacopi, nel suo La casa di Augusto. Le pitture:
"Nel gusto decorativo pittorico augusteo, proteso verso effetti ornamentali fantastici e illusori, si concretizza in particolare anche quella moda di dipingere monstra, forme insensate e irreali, piuttosto che ex rebus finitis imagines certae ... assottigliando le colonne quali steli di candelabro, sostituendo bizzarri viticci ai frontoni, facendo nascere figure umane o animalistiche da esili elementi vegetali e facendo infine prevalere il colore sul disegno grazie all'uso dei cinabri, delle porpore, dell'oro e del ceruleo egiziano, dalle tinte abbaglianti ... la maniera che caratterizzerà la pittura del tipo del secondo stile troverà la sua più raffinata espressione all'interno del ciclo pittorico della Palatina domus di Augusto ..."


Un gusto raffinato, esaltato dall'abbaglio dei colori che, ancor oggi, dopo oltre due millenni, stupiscono lo spettatore per la vivacità e la freschezza.
La tecnica impiegata è dubbia. Affresco, tempera o encausto?
L'encausto, miscela di colore e cera, è fuori causa, essendo utilizzata soprattutto per le navi di guerra, come afferma Plinio ("encausto ... è processo non idoneo a pitture parietali, ma assai utilizzato per le navi da battaglia e oggi anche sulle navi da carico, perché noi dipingiamo anche i mezzi di trasporto e nessuno si meravigli se si vedrà colorata anche la legna dei roghi funebri, ad o che a noi piace mandare  anche i gladiatori incontro alla morte o a una sicura carneficina in una cornice piacevole ...").
L'affresco, invece, consiste nello stendere i colori sull'intonaco ancor umido (a fresco, appunto) - intonaco che, una volta asciutto, grazie alla carbonatazione del calcio, fisserà i pigmenti in modo permanente.
La tecnica dell'affresco presenta, però, due inconvenienti. Richiede somma perizia e velocità d'esecuzione (il colore viene subito assorbito, tanto che son da escludersi i cosiddetti 'pentimenti'): la pittura è, quindi, stesa a pezzi, porzione dopo porzione (ogni porzione eseguita è detta giornata); e tuttavia non sono state rinvenute le porzioni delle suddette giornate (non è stato rinvenuto il quasi impercettibile stacco fra di esse).
Inoltre, come informa Plinio, molti colori sono incompatibili con tale tecnica: purpurisso, indaco, ceruleo, melino, orpimento, cerussa (e lo stesso cinabro) non tollerano la causticità della calce dell'intonaco. 
Da ciò può dedursi come la tecnica usata sia probabilmente la tempera (pigmenti diluiti con leganti di origine animale o vegetale: latte, colle ...).
I colori stesi secondo tal guisa sarebbero poi stati encausticizzati (cosa diversa dall'encausto), ovvero ricoperti da uno strato di cera punica in modo da renderli impassibili nei confronti della luce e degli agenti atmosferici.


CLASSIFICAZIONE DEI COLORI SECONDO PLINIO IL VECCHIO







FLORIDI

AUSTERI


Naturali
minium
cinabro
ruber
sinopis
sinopia
ruber
armenium
azzurrite
caeruleus
rubrica
terra rossa
ruber
cinnabaris
sangue di drago
ruber
paraetonium
paretonio
albus
crysocolla
malachite
virdis
melinum
argilla
albus




eretria
argilla
albus




aurum pigmentum
orpimento
flavus; luteus







Artificiali
(lacche)
indicum
lacca indaco
caeruleus
ochra usta
rosso ferro
ruber
purpurissimum
lacca porpora
porpora
cerussa usta
minio
ruber



sandaraca
minio
ruber



sandix
minio+rubrica
ruber



syricum
sandix+sinopia
ruber



atramentum
nerofumo
niger

Plinio, Naturalis historia, XXXV, 30:

"I colori poi sono austeri o floridi. L'uno e l'altro tipo si ha per natura o per mistura. Sono floridi - e il committente li fornisce a sue spese al pittore - il minio, l'Armenio, il cinabro, la crisocolla, l'indaco, il purpurissimum; gli altri sono austeri. In ogni tipo alcuni si trovano allo stato naturale, altri si fabbricano. Si trovano allo stato naturale la terra di Sinope, la rubrica, il bianco paretonio, la terra di Melo, la terra di Eretria, l'orpimento; tutti gli altri si fabbricano, e in primo luogo quelli menzionati tra i metalli, poi, tra i più comuni, l'ocra, la biacca e la biacca bruciata, la sandracca, la sandyx, il siriaco, l'atramentum".

I colori floridi erano più vividi e brillanti, e perciò più costosi.

domenica 10 gennaio 2016

Il sepolcro degli Orazi e Curiazi nel cuore del Lazio antico

 Il monumento visto dalla Via Appia. Sullo sfondo la Chiesa di S. Maria della Stella

Come abbiamo visto fu Alba Longa la vera progenitrice di Roma.
Da Alba Longa, fondata da Ascanio/Iulo, figlio del troiano Enea, arrivarono i gemelli Romolo e Remo: questo secondo la leggenda più elegante, grecizzante.
Secondo altra tradizione Alba Longa preesisteva a tali fondatori: già abitata dall’antichissimo popolo dei Siculi, fu occupata dagli Aborigeni del re Latino che solo in seguito si fusero coi Troiani originando, appunto, il popolo Latino.
Durante il regno di Tullo Ostilio sarà la figlia Roma, divenuta troppo potente, a distruggere la città madre (metropoli) sino a dissolverne persino le vestigia.
Oggi è discussa la posizione reale dell’antica Alba Longa; secondo Dionigi di Alicarnasso sorgeva fra il lago d’Albano e il Monte Cavo (Vulcano Laziale).
A ogni modo è qui, nel Latium Vetus, che originano i più risalenti miti della nostra regione e, perciò, di Roma stessa.
Il territorio su cui sorge l’attuale cittadina d‘Albano Laziale (al XV miglio della Via Appia) è immerso, quindi, in tale magma protostorico.
Uno dei monumenti che più colpiscono e affascinano anche l’occhio del profano è il cosiddetto sepolcro degli Orazi e dei Curiazi, posto lungo l'Appia, poco prima dell’altura che separa Albano da Ariccia.
Ricordiamo il celeberrimo episodio della disfida degli Orazi e Curiazi nelle parole di Tito Livio (Ab urbe condita, I, 24-25):

sabato 2 gennaio 2016

Sul Palatino le quattro nascite di Roma

Il ninfeo-Lupercale trovato nelle viscere del Palatino

Più ancora che il Foro e il Campidoglio il luogo centrale per la storia di Roma è il colle Palatino.
É sul colle Palatino che nasce il primitivo abitato di Roma (una Roma avvolta dai fumi della leggenda, e antecedente a quella storica), ben prima di quel Romolo che la fondò, poi, nel 753 A. C.; è sul Palatino che si rinvengono i segni di una radicale trasformazione che vede la Repubblica mutarsi in Impero, sotto Ottaviano Augusto; ed è sempre sulle pendici fatali del colle che verrà celebrato il rito fondativo della quarta nascita, o terza rinascita: il primo Natale cristiano di Roma (326), che sancirà, pur simbolicamente, l’avvio di una tradizione religiosa più che millenaria.

Uno scorcio del Palatino. Foto di G. Rovina

Ma vediamo più da vicino queste quattro fasi, coadiuvati dall’archeologo Andrea Carandini e dallo storico Tito Livio.

Dionigi di Alicarnasso racconta che sessant'anni prima della guerra di Troia erano giunte all'approdo sul Tevere due navi di fuorisciti provenienti da Pallantion, abitato dell'Arcadia, guidati da Evandro ... furono bene accolti da Fauno [padre di Latino] il quale discendeva da Pico, che discendeva a sua volta da Marte, e il re concesse loro di insediarsi sul Palatino. Alle pendici del monte verso il Tevere gli Arcadi formarono un abitato chiamato Pallantium ... che si sarebbe trasformato in Palatium, e alla radice di quel monte istituirono un culto a Pan Liceo, in un santuario chiamato Lykaion; in termini indigeni il culto era rivolto a Fauno Luperco, cioè Lupo e capro, e il santuario era il Lupercal”.

Capanne di età romulea. Foto di P. Vincenzoni

Evandro fonderà la città di Pallantia sul monte Palatino. Il figlio di Evandro, Pallante, sarà colui che avvisterà le navi dei profughi troiani (guidati da Enea, figlio di Anchise e Venere) lungo il Tevere, alla ricerca di una patria.
In seguito Enea approderà a Laurento, dove s’innamorerà della figlia del re Latino, Lavinia.

“[Latino] … pieno di ammirazione per la nobiltà d'animo di quel popolo e dell'uomo di fronte a lui e per la loro disposizione tanto alla guerra che alla pace, gli tese la mano destra e si impegnò per un'amicizia futura tra i due popoli. I due comandanti stipularono allora un trattato di alleanza, mentre i due eserciti si scambiarono un saluto. Enea fu ospitato presso Latino. Lì questi aggiunse un patto privato a quello pubblico dando in moglie a Enea sua figlia, Lavinia … [I Troiani] fondano una città. Enea la chiama Lavinio dal nome della moglie. Dopo poco tempo, dal nuovo matrimonio nacque anche un figlio maschio cui i genitori diedero il nome di Ascanio”.

I due popoli si fondono insieme. Per decisione di Enea si adotta il termine Latini.
Enea dovrà fronteggiare subito Turno, re dei Rutuli, pretendente di Lavinia, che gli muove guerra alleato al re etrusco Mezenzio; Enea trova man forte in Evandro e Pallante. Nei due sanguinosi conflitti trovano la morte prima Latino, e poi lo stesso Enea. Continua Livio:

Ascanio, il figlio di Enea, non era ancora maturo per comandare; tuttavia il potere rimase
intatto finché egli non ebbe raggiunto la pubertà. Nell'intervallo di tempo, lo Stato latino e il regno che il ragazzo aveva ereditato dal padre e dagli avi gli vennero conservati sotto la tutela della madre … dal momento che la popolazione di Lavinio era in eccesso, lasciò alla madre … la città ricca e fiorente, e per conto suo ne fondò sotto il monte Albano una nuova che, dalla sua posizione allungata nel senso della dorsale montana, fu chiamata Alba Longa. Tra la fondazione di Lavinio e la deduzione della colonia di Alba Longa intercorsero press'a poco trent'anni. Ciononostante, specie dopo la sconfitta subita dagli Etruschi, la sua potenza era a tal punto in crescita che, neppure dopo la morte di Enea e in séguito sotto la reggenza di una donna e i primi passi del regno di un ragazzo, tanto Mesenzio e gli Etruschi quanto nessun'altra popolazione limitrofa osarono intraprendere iniziative militari. Il trattato di pace stabilì che per Etruschi e Latini il confine sarebbe stato rappresentato dal fiume Albula, il Tevere dei giorni nostri”.

Il tempio del divo Romolo, esterno. Foto di N. Barricelli
Affresco cristiano interno al tempio del divo Romolo. Foto di S. Martinez.
Romolo fu figlio dell'imperatore Massenzio, morto giovanissimo e poi divinizzato.
Nel tempietto è subito evidente come la stratificazione culturale - millenaria -
sia una caratteristica inevitabile dell'area archeologica dei Fori, e del Palatino in particolare.

Il regno latino/albense si prolunga per numerose generazioni, sino alla coppia di fratelli Numitore/Amulio. Narra Livio:

Proca … genera Numitore e Amulio. A Numitore, che era il più grande, lascia in eredità l'antico regno della dinastia … ma la violenza poté più che la volontà del padre o la deferenza nei confronti della primogenitura: dopo aver estromesso il fratello, sale al trono Amulio. Questi commise un crimine dietro l'altro: i figli maschi del fratello li fece uccidere, mentre a Rea Silvia, la femmina, avendola nominata Vestale (cosa che egli fece passare come un'onorificenza), tolse la speranza di diventare madre condannandola a una verginità perpetua.
Credo comunque che rientrassero in un disegno del destino tanto la nascita di una simile città quanto l'inizio della più grande potenza del mondo dopo quella degli dèi. La Vestale, vittima di uno stupro, diede alla luce due gemelli. Sia che fosse in buona fede, sia che intendesse rendere meno turpe la propria colpa attribuendone la responsabilità a un dio, dichiarò Marte padre della prole sospetta. Ma né gli dèi né gli uomini riescono a sottrarre lei e i figli alla crudeltà del re: questi dà ordine di arrestare e incatenare la sacerdotessa e di buttare i due neonati nella corrente del fiume. Per una qualche fortuita volontà divina, il Tevere, straripato in masse d'acqua stagnante, non era praticabile in nessun punto del suo letto normale, ma a chi li portava faceva sperare che i due neonati venissero ugualmente sommersi dall'acqua nonostante questa fosse poco impetuosa. Così, nella convinzione di aver eseguito l'ordine del re, espongono i bambini nel punto più vicino dello straripamento, là dove ora c'è il fico Ruminale (che, stando alla leggenda, un tempo si chiamava Romulare). Quei luoghi erano allora completamente deserti. Tutt'ora è viva la tradizione orale secondo la quale, quando l'acqua bassa lasciò in secco la cesta galleggiante nella quale erano stati abbandonati i bambini, una lupa assetata proveniente dai monti dei dintorni deviò la sua corsa in direzione del loro vagito e, accucciatasi, offrì loro il suo latte con una tale dolcezza che il pastore-capo del gregge reale - pare si chiamasse Faustolo - la trovò intenta a leccare i due neonati. Faustolo poi, tornato alle stalle, li diede alla moglie Larenzia affinché li allevasse. C'è anche chi crede che questa Larenzia i pastori la chiamassero lupa perché si prostituiva: da ciò lo spunto di questo racconto prodigioso”.

Andrea Carandini, che svaluta la tradizione greca, riallaccia il primo Lupercale di Fauno a tale nuovo Lupercale romuleo:

La cesta si incaglia al Lupercale e i gemelli vengono nutriti da una lupa – cioè da Fauna, l’aspetto femminile di Fauno – e da un picchio – cioè Picus, primo re divino dei Latini, figlio di Marte, che aveva natura di uccello. Sono dunque gli avi divini e regali del Lazio proto-storico che soccorrono i discendenti Remo e Romolo, figli anch´essi di Marte, perché uno di loro, Romolo, dovrà fondare in quel luogo Roma. Giunge poi il capo-porcaro Faustolo - connesso a Fauno - che porta i gemelli in cima al Palatino, dove li alleva con la compagna Acca Larenzia, la Madre che aveva dato alla luce i Lari dei Latini e che ora alleva i nuovi Lari dei Romani”.

E quindi aggiunge:

Trovare il Lupercale è il sogno di chiunque abbia dedicato parte della vita a decriptare le origini di Roma. Ma la localizzazione del santuario offerta dalle fonti letterarie era troppo vaga per tentare l´impresa. Oggi il sogno comincia a diventare realtà. La Soprintendenza infatti ha rinvenuto grazie a un carotaggio e ha rilevato grazie al Laser Scanner una cupola decorata a mosaico e a conchiglie di un ninfeo che ha tutta l´aria di essere una parte del complesso del Lupercale nella sua fase augustea

Lo stesso Carandini dedicherà alla scoperta archeologica un bellissimo saggio: qui egli tratteggia la storia del Lupercale palatino dalle origini protostoriche sino a Romolo, sino ad Augusto, primo imperatore dell’Urbe (un novello Romolo, dunque), la cui dimora sorgerebbe proprio sulla cupola recentemente ritrovata.

Era il 42 a. C. quando Ottaviano, ventiduenne, decise di costruirsi una grande casa sul Palatino rivolta all’Aventino. Aveva trentacinque anni quando scelse di seppellire questa casa per edificarvi sopra una casa-santuario favolosa, in cui andare ad abitare insieme agli dei Apollo e Vesta … Queste dimore di Ottaviano e poi di Augusto si trovavano in un contesto eccezionale, vicino all’antico approdo sul Tevere, dove secondo la leggenda avevano attraccato le navi di eroi greci e dove era sorti i primi culti del luogo, come quello di Fauno al Lupercale. Augusto si stabilisce in questa parte del Palatino perché si sente erede dei re aborigeni del Lazio – Pico, Fauno e Latino – di Enea e della famiglia albana dei Giulii: era stato adottato da Giulio Cesare.
Origini dell’abitato sul Tevere, origini di Roma città stato e origini di Roma e del principato imperiali si intracciano in questo quartiere, denso di costruzioni e di simboli … Il termine ‘palazzo’ deriva appunto da Palatium, il monte Palatino, centro per oltre un millennio di un potere divenuto ecumenico".

Interno casa di Augusto. Foto di Federica Bellantoni
Grazie a nostre ricerche, ritengo che questo pendio del Palatino verso Santa Anastasia, finora mai scavato e sotto il quale si trova l´ambiente appena riconosciuto, abbia finito per far parte della seconda casa di Augusto … Sappiamo che Augusto si considerava un novello Romolo, tanto che era andato ad abitare davanti alla sua capanna: qui il primo re aveva fondato la città depositando primizie e manciate di terra dai vari luoghi in una fossa, poi ricoperta e affiancata da un´ara (come racconta Ovidio, e ne rimane anche il monumento”.

Interno Casa di Augusto. Foto di P. Vincenzoni

La connessione fra Romolo e Augusto la si ritrova accennata anche in Livio:

Alcuni proponevano che lo si chiamasse Romolo, in quanto anche lui, in certo modo, fondatore di Roma; ma prevalse l'idea di chiamarlo piuttosto Augusto ... anche i luoghi venerandi, nei quali , dopo una cerimonia augurale, si consacra qualche cosa, sono chiamati augusti, da auctus, accresciuto, e da avium gestus o da gustus. Lo dice anche Ennio scrivendo:

Poi che Roma gloriosa fu fondata/con augusto presagio

D’altra parte che egli stesso si riallacciasse a Romolo fondatore (fondatore, si ricordi, dopo l'auspicio favorevole del volo degli uccelli) si intravede anche nelle Res Gestae, un’iscrizione bilingue ritrovata nel tempio di Roma e Augusto ad Ancira. Commenta il latinista Luca Canali:

"Le Res gestae sono l'affermazione ed esaltazione dell'auctoritas ... dell'Imperator Caesar Augustus, in quanto venerando ... , rifondatore di Roma (fondatore di Roma con un augurium ... augustum), e pater patriae: una patria che doveva essere ricomposta dai frantumi delle guerre civili, dalla vanificazione dell'ordinamento costituzionale, dalla riduzione della repubblica a un nome senza corpo né forma”.

Casa di Augusto. Stanza dei festoni di pino. Foto di P. Vincenzoni

Prosegue, invece, Carandini:
La seconda casa di Augusto, primo vero palazzo imperiale, si incentrava sul Tempio di Apollo, padre mitico del princeps che gli aveva concesso la vittoria ad Azio. Ai lati aveva disposto la sua casa privata e quella pubblica. Davanti era l´area di Apollo, articolata nel portico di Danao, mitico vincitore di Egitto (come Augusto di Antonio amante dell´Egitto) e nel sottostante portico della Roma Quadrata, un´ara quest´ultima contenente cose sacre, analoga a quella fatta da Romolo davanti alla sua capanna. Qui Augusto ha rifondato Roma e l´Impero. E´ sotto questo secondo portico che si trovava probabilmente il Lupercale, per cui il Principato viene stabilito sopra il luogo dove era stato salvato Romolo, fondatore della città. Fra l´altro, l´area di Apollo misurava due iugeri, la misura dei lotti distribuiti da Romolo ai primi Romani. La dimora di Augusto è quindi la casa di un uomo che ha riunito in sé, in maniera costituzionale, un potere civile, militare e religioso analogo a quello dei primi re. E´ anche un santuario di Apollo, Febo ma anche Liceo, lupo quindi anche lui come Fauno, per cui il secondo dio dei Greci appare come la versione civilizzata e aggiornata del primitivo demone dei Latini (Apollo per i Greci era anche capro). Ecco il sistema teologico-mitico di Augusto, che si sovrappone a quello lupercale della prima Roma e a quello del sito di Roma prima di Romolo”.

La Basilica di Santa Anastasia
Nel IV secolo d. C. la domus Augusti accoglierà sul suo avancorpo rivolto al Circo Massimo … la chiesa di Santa Anastasia [sorella di Costantino e figlia di Teodora e Costanzo Cloro] ... Possiamo attribuire l'edificazione della chiesa di Anastasia al tempo in cui [Costantino ebbe] sconfitto Licinio nel 324, le persecuzioni erano definitivamente terminate, e più precisamente all'ultimo soggiorno di Costantino a Roma, nel 326. Costantino aveva ricongiunto l'Impero sotto un unico imperatore, per cui doveva apparire come il restauratore di quell'unità dell'impero che era stata fondata da Augusto”.

Infatti:

Nel secondo quarto del IV secolo d. C. incontriamo un documento che attesta l'esistenza a Roma del Natale, fissato al 25 dicembre: è la Depositio Martyrum ... abbozzo di calendario liturgico databile al 336 d. C., nel quale si legge: VIII Kal. Jan. natus Christus in Betleem Judeae … L'ipotesi più probabile è che Costantino, insieme al vescovo di Roma Silvestro (314-335), avesse voluto affiancare il Natale di Cristo a quello del Sole, che era anche il giorno del solstizio d'inverno ... anche perchè la Chiesa soleva definire Gesù sole della verità e della resurrezione”.

[Per intendere quel 'VIII Kal. Jan.' bisogna considerare che i Romani numeravano i giorni in modo abbastanza particolare: a ritroso rispetto ai tre punti fermi del calendario: calende (primo giorno del mese), none e idi (5 e 13 giorno di gennaio, febbraio, aprile, giugno, agosto, settembre, novembre e dicembre; 7 e 15, invece, nei mesi di marzo, maggio, luglio, ottobre).
Per ciò detto, 'VIII Kal. Jan.' equivale a dire: l'ottavo giorno prima delle calende di gennaio. Calcolando, all'uso romano, sia il giorno di partenza che quello d'arrivo, si avrà l'arco temporale di otto unità:

1 jan (calende) - 31 dec - 30 dec - 29 dec - 28 dec - 27 dec - 26 dec - 25 dec (Natale)]

Sul monte Palatino, insomma, sono tuttora stratificati alcuni dei miti fondativi di Roma e dell’Europa tutta: la prima nascita protostorica (Evandro, Enea); la seconda, quella universale, ad opera di Romolo; la terza, oepra di Augusto, primo imperatore; la quarta, che vide l'unificazione nuovamente dell'Impero, sotto Costantino, e l'inizio della Cristianità.

* * * * *

Andrea Carandini, Lupercale, dentro quel pendio una miniera di miti, La Repubblica, 21 novembre 2007
Andrea Carandini, La casa di Augusto dai Lupercalia al Natale, 2008
Tito Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione
Ottaviano Augusto, Res gestae divi Augusti (cura di Luca Canali)