giovedì 18 giugno 2015

1944-2014: l'ordine è già stato eseguito. Un ricordo delle Fosse Ardeatine - 2^ parte

Foto di Maria Cristina Masotti
A cura del Cantiere24-MVL Gruppo Reportage*

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Trentatré morti tedeschi. Dieci morti italiano per ogni tedesco. Un totale di trecentotrenta. Ma i deportati alle fosse sono cinque in più. Cosa fare di quei cinque che, ormai, hanno visto tutto?
La decisione: uccidere anche loro.
Gente qualunque, presa per sbaglio, nella fretta, a Regina Coeli, o salita sui camion credendo di andare a lavorare oppure rastrellata nelle infermerie delle carceri.
La decisione: uccidere anche loro.


Foto di Maria Cristina Masotti

Anche l'ufficiale Gunter Amonn si rifiuta di sparare, sopraffatto dall'enormità della strage: "Pochi minuti dopo io vidi altri cinque civili scortati lungo i tunnel da cinque tedeschi. Questi civili avevano anche loro  le mani legate dietro la schiena, essi erano costretti ad inginocchiarsi accanto al mucchio dei corpi. A questo punto il capitano Clemens, che era presente, mi ordinò di pormi dietro ad uno dei prigionieri per sparargli. Quattro altri tedeschi si misero dietro agli quattro prigionieri. Il capitano Clemens ci diede quindi l’ordine di alzare i nostri mitra, ma ero troppo spaventato per far fuoco. Gli altri quattro spararono un colpo ognuno alla nuca degli altri quattro prigionieri che caddero in avanti. Vedendo lo stato in cui mi trovavo un altro tedesco mi spinse via e sparò sul prigioniero su quale avrei dovuto sparare io".

Foto di Patrizia Vincenzoni

La seconda voragine. Dopo la visita alla grotta del massacro, un ritaglio di cielo alleggerisce l'atmosfera.

Foto di Virginia Valletta

Le trecentotrentacinque tombe. Dice una custode del Sacrario. "È questo l’effetto che fa stare là sotto: che ti senti schiacciato, ti senti proprio piccolo piccolo, schiacciato sotto questo grosso sasso. Anzi hanno leggermente modificato, hanno dato una curvatura un po’ più a lente, proprio per alleviare un pochetto questo effetto. Sono morti per la solita causa, nel solito momento, nella solita condizione, hanno anche la solita tomba. Forse fa anche più effetto perché stanno al chiuso, fra quattro mura, con un coperchio sopra, vederli, con lo spazio, l’occhio che va … dà l’idea di quante persone possono essere".

Foto di Maria Cristina Masotti

La geometria delle disposizioni, l'architettura poderosa e incombente, l'estrema pulizia degli ambienti, il decoro formale dei prati: tutto predispone alla considerazione simbolica, al messaggio umanitario, al monito universale, al freddo "Non succeda più".
Non bisogna mai dimenticare, però, la radice di questa raffinata astrazione: che sono i trecentotrentacinque morti, e il dolore dei loro familiari, madri, padri, figli, fratelli. Ecco un resoconto del 1945 (quando il Mausoleo non era stato ancora edificato) scritto dal giornalista de Il Tempo, R. M. De Angelis: "Intravvediamo una contadina quasi centenaria che accarezza con le mani argillose, sul legno di una bara, la fotografia di un ragazzo di venti anni ... più in là una giovane donna inginocchiata ripete le stesse sillabe, gli stessi versetti, con la stessa monotona cadenza dei primi cristiani".
Un rito solenne, secolare, umanissimo. Le stesse scene di quasi duemila anni fa, quando con l'ausilio di fiochi lumi e del fossore, i primi cristiani del Tardo Impero Romano seppellivano i proprio cari nel ventre della terra romana, a Santa Domitilla o San Calisto.
Catacombe lunghe decine di chilometri, che hanno accolto nel tempo centinaia di migliaia di defunti, e le cui diramazioni si innervano, come dita d'una mano fraterna, proprio sin nelle Cave Ardeatine.

Foto di Maria Cristina Masotti

Un quadro all'interno del piccolo memoriale delle Fosse Ardeatine, dove si mostrano reperti dell'epoca: giornali, armi, manifesti, fotografie.
"Essi sono già legati con le mani dietro alla schiena, con corde o filo di ferro ..."

Foto di Maria Cristina Masotti

Nel luglio 1944, a un mese dalla Liberazione di Roma, e a quattro dal massacro, il professor Attilio Ascarelli fu incaricato della esumazione delle salme. Fu un lavoro durissimo, difficile, di eccezionale pietà. Dagli scritti del professore: “I caduti erano ammassati gli uni sugli altri così da formare una massa unica ... Tutti i cadaveri erano legati con i polsi dietro il dorso uno per uno, eccettuati due corpi legati insieme ... Trentanove salme sono state trovate decapitate ... Tutte le altre avevano un colpo da arma da fuoco nella testa: colpo parietale, occipitale e qualche volta fronto parietale ... Qualche volta il cranio era frantumato ... Noi ci siamo fatti la convinzione che questi caduti devono essere stati condotti per gruppi e spinti nel fondo delle grotte e, a mano a mano che passavano davanti a qualcuno, venivano uccisi con un colpo solo o al massimo due. A mano a mano che venivano avanti le vittime, il nuovo gruppo veniva spinto a forza sui cadaveri dei compagni uccisi". 
Cosa si deve leggere nella vita? Questo si deve leggere. Una discesa nel profondo della verità che ci sovrasta, lasciandoci senza voce: "Dare un'esatta idea e una descrizione rappresentativa di come si presentavano questi carnai umani è cosa che io non so esprimere con adeguate parole", dice Ascarelli.

Foto di Virginia Valletta

I corpi erano quasi irriconoscibili. Decomposti. Mummificati. Parecchi familiari li identificarono da particolari minuti: un dente, una ciocca di capelli, un oggetto personale, un particolare capo d'abbigliamento. Ecco Silvio Gigliozzi, figlio di Romolo Gigliozzi: "Questo è quello che resta di mio padre, questo era un dente e da una parte è rovinato, perché mio padre acciaccò una noce co' questo e mia madre riconobbe il cadavere da questo, da questo dente che è acciaccato da una parte. E questo è quello che resta di mio padre". E Rosetta Stame, figlia di Nicola, oggi presidente dell'ANFIM, Associazione che riunisce i familiari delle vittime: "Questo è un ritaglio della giacca che portava; e se lei vede i fazzoletti si vede ancora un segno di sangue ... poi c'è il ritaglio del paltò; poi invece questo sul verde sono le calze. Queste sono le stellette della divisa ..."
A tutt'oggi dieci salme rimangono non identificate.

Foto di Antonella Cecchi Pandolfini

Pietro Primavera, uno dei 335. Uno qualunque, nato il 15 gennaio 1925. Neanche ventenne. Un cognome non importante. Né militare né appartenente a comunità di rilievo. Un partigiano di Bandiera Rossa, la formazione partigiana che, pur esclusa dal Comitato di Liberazione Nazionale, patì il più alto numero di morti e arrestati duranti i nove mesi di occupazione nazista.
Pietro Primavera, uno dei tanti.

Foto di Patrizia Vincenzoni

Una poesia di Corrado Govoni, dedicata al figlio Aladino. Aladino Govoni, "il più bel figliolo della terra/più coraggioso di un eroe antico", ex capitano dei Granatieri, partecipò dapprima alla Difesa di Roma, quindi entrò in clandestinità militando come partigiano in Bandiera Rossa e conducendo efficaci azioni di resistenza contro l'esercito tedesco.

Nuovo lamento su mio figlio morto

Più non mi incanti, stella della sera,
Da un diluvio di grandine stroncate,
Anche il tempo verrà che la Galassia
Questa croce di carne trucidata
Sessanta duri inverni ho già scontati
E il cielo col suo pallido cobalto,
Esiste solo questo dramma o farsa
Perché sian delle stelle nuove appena nate,
Perché ogni mondo è solo ed isolato:
O dolce, vieni! Non la notte maschera
Passa, maggio! Non sai che crepacuore
Lascia fare alla terra che non sbaglia,
La sola lettera che attendo sempre
Se, vincendo il ribrezzo, fermo appena
II Gesù del “Quo Vadis”?
La bella quercia che s’apriva al sole
Se n'è andato lontano, è andato via.

Foto di Maria Cristina Masotti

Fonti per le citazioni

- Alessandro Portelli, L'ordine è già stato eseguito, Donzelli, 1999
- Giorgio Giannini, Lotta per la libertà. Resistenza a Roma 8 settembre 1943-4 giugno 1944, Edizioni Associate, 2001
- Corrado Govoni, Aladino, Palomar, 2006

* Gruppo Reportage:
Maria Cristina Masotti
Antonella Cecchi Pandolfini
Virginia Valletta
Lamberto Di Fabio
(Antonella Venanzi)
(Nicola Barricelli)
Patrizia Vincenzoni
Stefano Martinez
Testi di Gianluca Chiovelli

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